Tutto cominciò in un freddo mattino del 17 febbraio 1992, quando un giovane sostituto della Procura di Milano, Antonio Di Pietro, fece “scattare” le manette ai polsi dell’ingegnere Mario Chiesa, presidente del Pio Albergo Trivulzio, nonché esponente di spicco del Partito Socialista Italiano, con l’ambizione di diventare sindaco di Milano. Lo arrestarono dopo che aveva appena intascato una “bustarella” di sette milioni di lire (la metà del pattuito) dal proprietario di una piccola azienda di pulizie che, come altri fornitori, era costretto a versare il suo obolo per aggiudicarsi un appalto. Dopo un’iniziale reticenza, l’accusato, sotto interrogatorio, rivelò la diffusione capillare del sistema delle tangenti, a beneficiare del quale erano politici e partiti di ogni colore, specialmente quelli al governo. E’ così che nasce ufficialmente “mani pulite” o “tangentopoli” che dir si voglia.
Dopo la vicenda di Mario Chiesa, un fiume in piena inondò tutta la penisola: un insieme di inchieste che portarono alla luce un sistema di corruzione, concussione e finanziamento illecito dei partiti ai livelli più alti del mondo politico e finanziario italiano. Centinaia furono gli arresti tra i personaggi più in vista del mondo economico e politico, e tutto ciò portò alla crisi, e addirittura alla scomparsa, di alcuni tra i maggiori partiti politici dell’epoca, tanto da far parlare del passaggio ad una “Seconda Repubblica”. La società civile, quella “buona”, quella che gronda sudore per portare a fine giornata il pane a casa, all’inizio smarrita e scioccata, cominciò a parteggiare in modo sempre più appariscente per i magistrati che conducevano le inchieste, osannandoli come eroi, manifestando, nel contempo, disgusto e indignazione verso quella classe dirigente corrotta. Con “mani pulite” tutti ci sentimmo sollevati e gratificati: pensavamo di esserci finalmente liberati da quel cancro del malaffare, le cui metastasi si erano estese alla maggior parte delle istituzioni pubbliche.
Nulla di più sbagliato ed illusorio! Numerose altre inchieste poi succedutesi nel tempo hanno drammaticamente dimostrato che quel cancro non è stato mai estirpato, anzi, con molta probabilità, è diventato ancor più vorace. Solo a titolo di esempio, tra le ultime vicende in ordine di tempo ricordiamo le tangenti per il Mose (il sistema di dighe veneziano), le tangenti Expo (che hanno riguardato le gare di appalto per la realizzazione degli spazi nell’esposizione universale di Milano), quelle alla marina militare di Taranto, quelle relative alla manutenzione stradale dell’Anas e l’inchiesta nota come “Mafia Capitale”, nome con cui viene indicata una presunta associazione per delinquere di tipo mafioso-politico-imprenditoriale, che operava a Roma a partire dal 2000 circa.
Non a caso, in fatto di corruzione, occupiamo il 61° posto su 168 Paesi nel mondo, con un voto di 44 su 100. E’ questo il dato che emerge dal nuovo Indice di percezione della corruzione (CPI) di Transparency International, appena presentato a Roma presso la sede di Unioncamere. A livello europeo, inoltre, ci troviamo in fondo alla classifica, seguiti solamente dalla Bulgaria e dietro ad altri Paesi generalmente considerati molto corrotti, come Romania e Grecia, entrambi in 58° posizione (nel mondo) con un punteggio di 46. In verità qualcosa di positivo comincia ad intravedersi: rispetto all’anno scorso, quando eravamo al 69° posto nella classifica mondiale ed addirittura il Paese europeo più corrotto, qualche posizione l’abbiamo recuperata!
Ma eccoci alla cronaca di oggi: ancora arresti nella Sanità lombarda. Di nuovo imprenditori e politici accusati di corruzione, dopo gli scandali San Raffaele e Maugeri, ai tempi dell’allora giunta guidata da Roberto Formigoni. Questa volta, un’inchiesta denominata “Smile”, coordinata dalla Procura della Repubblica di Monza, ha consentito di ricostruire come un gruppo imprenditoriale avrebbe turbato in proprio favore l’aggiudicazione di una serie di appalti pubblici banditi da diverse aziende ospedaliere, per la gestione, in outsourcing, di servizi odontoiatrici, corrompendo i funzionari preposti alla gestione delle gare. Le indagini, avviate nel 2013, parlano di un giro di affari di oltre 400 milioni di euro.
Sono 21 le ordinanze di custodia cautelare (9 in carcere, 7 ai domiciliari e 5 con obbligo di firma) emesse dal gip presso il tribunale di Monza, che i carabinieri del Comando Provinciale di Milano hanno cominciato ad eseguire dalla mattinata di martedì 16. Le accuse sono di associazione per delinquere finalizzata alla corruzione, turbata libertà degli incanti e riciclaggio. Molti i nomi eccellenti tra gli indagati, tra i quali spicca quello di Fabio Rizzi, ex senatore della Lega Nord, presidente della Commissione Regionale Sanità, “padre” della riforma della sanità lombarda approvata lo scorso agosto, nonché vero e proprio braccio destro del governatore Roberto Maroni. A quanto si è appreso, Rizzi sarebbe stato arrestato e condotto in carcere, mentre sua moglie, pure coinvolta nell’inchiesta, pare sia stata posta ai domiciliari.
Tra gli arrestati anche Valentino Longo, imprenditore vicino allo stesso Rizzi, e sua moglie, posta ai domiciliari. Alle mogli di Rizzi e Longo era intestato il 50% delle quote di società odontoiatriche aperte insieme all’imprenditrice 55enne Maria Paola Canegrati, anche lei arrestata, definita dalla Procura di Monza la “principale indagata nell’inchiesta”. Vedremo quali saranno gli sviluppi dell’inchiesta, in attesa del prossimo “scandalo” che di certo non tarderà a balzare agli onori della cronaca, in quest’Italia martoriata dalla corruzione, i cui effetti sono devastanti per l’economia, ed in cui il pericolo più serio per la collettività è una rassegnata assuefazione al malaffare, visto come male senza rimedi.
di Umberto Buzzoni