Cinque miliardi di euro è la cifra spesa ogni anno in Germania in elemosine. Ma ai destinatari, di quei soldi ne arrivano molti di meno. Nel libro Die Spendenmafia (la mafia delle donazioni), il giornalista economico Stefan Loipfinger mette in guardia da imbroglioni e approfittatori -spesso, dice, sono le grandi organizzazioni internazionali.
D.Der Spiegel: Signor Loipfinger, nel suo libro lei traccia un parallelo tra il mondo della carità e la mafia. E’ così grave?
R.Stefan Loipfinger: Sì, lo è. Nel settore caritativo vengono movimentate somme enormi e pressoché senza controlli, ciò che lo rende molto appetibile ai truffatori. In generale non si tratta di singoli individui, bensì di grandi organizzazioni che agiscono a livello internazionale in modo ramificato. I loro metodi sono alquanto sospetti, e le dichiarazioni di chi ne è uscito fanno pensare a metodi mafiosi. Ma a differenza della pura economia criminale, qui s’aggiunge la coperta caritatevole sotto cui si può celare di tutto.
D.Cinque miliardi di donazioni l’anno in Germania sono considerevoli. Qual’è la parte che finisce nelle mani delle organizzazioni poco serie?
R.Purtroppo le cifre sono quasi inesistenti. Trasparenza è una parola poco conosciuta in quell’ambiente. In Germania ci sono 566.000 associazioni e 17.000 fondazioni; già questo ci dice che parliamo di grosse somme. Naturalmente ci sono molte organizzazioni che operano in modo serio e con dedizione umanitaria. Però rimane un ampio spazio per truffatori e collettori poco seri. Ritengo che, ogni anno, a non raggiungere i bisognosi siano importi milionari a tre cifre.
D.Ma si può ancora donare con buona coscienza?
R.Certamente. Purché il donatore sia cosciente che non ci sono solo persone ben intenzionate, ma anche lupi con manto d’agnello. Per filtrarli, l’unica cosa da fare è informarsi e non aprire subito il portafoglio per malintesa compassione. I donatori consapevoli sono molto più utili ai bisognosi.
D.Con che cosa hanno più successo i questuanti poco seri?
R.La gente è emotiva. Raramente immagini di bambini affamati o di cuccioli abbandonati non centrano il bersaglio. Ed è proprio lì che puntano gli enti poco seri. Offrono regalini, come ciondoli con l’angelo custode o talismani fatti da ragazzini -chi è che non dà volentieri qualcosa in cambio? Nel frattempo, raccogliere elemosine è divenuto un affare altamente professionale. Ci sono dei pubblicitari che s’inventano campagne molto costose; quei soldi non arriveranno mai ai destinatari. Raccogliere fondi è cosa buona di per sé, ma le proporzioni devono quadrare: gran parte delle entrate dovrebbe fluire nel progetto, invece spesso non è così.
D.Qual è la truffa più spudorata in cui è incappato?
R.Ogni caso è davvero sconfortante. Ma quello che ho trovato scandaloso è il Gandhi Hunger Fonds. Qui il nipote del Mahatma Gandhi ha fondato un ente per bambini denutriti. Solo che, dei soldi raccolti nel 2009, non un solo centesimo è finito in cibo. Al contrario, l’organizzazione si è indebitata perché il 175% degli introiti è stato speso in missive questuanti e altro.
D.Nel suo libro lei critica anche organizzazioni rinomate come la Stiftung Unesco di Ute-Henriette Ohoven o la Katarina-Witt-Stiftung. Sono sospette in uguale misura?
R.La dimensione non è un indice di serietà. Nemmeno i nomi prestigiosi danno certezze. Le strutture complicate rendono difficile l’analisi, e in molti casi si può presumere che ciò sia a sommo studio. Anche per le organizzazioni che lei cita, la gestione dei soldi affidati non si misura sempre con i criteri morali pubblicizzati all’esterno. Come mai la signora Ohoven vola in Africa nella lussuosa classe affari con i soldi della Fondazione? Quando sento queste cose mi è difficile essere cortese. Se per lei l’impegno verso i poveri è tanto importante, come spiega sulle riviste patinate, perché non si paga la promozione di tasca propria? Sarebbe coerente.
D.Come mai la gente famosa o i politici promuovono associazioni dubbie?
R.In molti casi c’è probabilmente della buona fede mista a ingenuità; talvolta magari anche il desiderio di dare l’immagine del benefattore. Il rischio di compromettere il proprio nome spesso è sottovalutato. Perché l’ex presidente della Repubblica Richard von Weizsaecker fa pubblicità all’Associazione dei cani abbandonati? Oppure “Miss Notiziario”, Dagmar Berghoff all’azione “Sogno infantile”? Tutt’e due farebbero meglio a mettere la loro notorietà al servizio di associazioni più serie.
D.E la politica assiste inerte a quel che accade?
R.Nel campo delle donazioni non esistono controlli pubblici, di fatto. Le leggi emanate tanto tempo fa sulle collette sono state abolite da dodici Laender su sedici, e mai sostituite. Le Finanze fanno accertamenti puramente formali. Manca la sensibilità verso i problemi di questo sistema, e in caso di abusi si parla quasi sempre solo di singoli episodi. Non c’è pressoché nessuno che sia cosciente della frequenza con cui viene aggirata l’intenzione dei donatori.
D.Quale regolamentazione servirebbe?
R.L’autoresponsabilità non basta, come è stato abbondantemente dimostrato. Il primo passo dovrebbe essere l’obbligo di legge alla trasparenza. Se associazioni e fondazioni fossero costrette a dichiarare come usano le loro entrate, molte elargizioni non finirebbero negli enti sbagliati. Tramite www.spendenpetition.de chiediamo che tutti gli enti con un introito annuale superiore a 30.000 euro rendano pubblico il loro bilancio.
D.Come può un donatore distinguere i buoni dai cattivi?
R.Se un’associazione si propone con immagini e testi emotivi, occorre prudenza. Anche la pressione a firmare subito un contratto associativo o una donazione duratura è un segnale d’allarme. E poi, ovviamente, è decisiva la richiesta di trasparenza. Se un ente non dà conto volontariamente della destinazione dei soldi raccolti, non merita d’essere sostenuto!
(intervista di Beatrix Boutonnet pubblicata da Der Spiegel del 25-12-2011. Traduzione di Rosa a Marca)