E’ trascorso quasi un mese da quando Giulio Regeni, il 28enne ricercatore friulano scomparso la notte del 25 gennaio a Il Cairo, fu ritrovato privo di vita ai margini dell’autostrada, alla periferia della capitale egiziana: il corpo martoriato da atroci segni di tortura.
Un mese che non è stato sufficiente per fare un minimo di chiarezza su questo orrendo crimine; anzi, più passa il tempo, più il mistero si infittisce, anche a causa dell’ambiguo comportamento e delle “verità nascoste” delle autorità egiziane.
Circa il movente, infatti, sono ben cinque le diverse tesi sostenute in ordine di tempo dagli investigatori del Cairo: incidente stradale, rapina, omicidio a sfondo sessuale, uccisione per mano di spie dei Fratelli Mussulmani per creare imbarazzo al governo di Al Sisi, vendetta privata connessa con il mondo della droga. Come se non bastasse, quindi, ora si tenta addirittura di gettare fango sulla vita privata del povero Regeni, nel tentativo ignobile di collegarlo allo spaccio e consumo di stupefacenti, tanto che già si vocifera dell’imminente arresto di uno spacciatore che bazzicava nel quartiere di al Dokki, dove il ricercatore viveva.
Menzogne su menzogne! Le uniche verità sembrano provenire dalla Procura di Roma: “Giulio Regeni frequentava persone del mondo universitario, non faceva uso di droghe (lo confermano i primi esiti degli esami tossicologici), conduceva una vita piuttosto ritirata al Cairo, non aveva contatti con persone equivoche, non aveva rapporti con servizi segreti italiani o stranieri. Giulio Regeni è stato ucciso da professionisti della tortura, persone esperte in crudeltà, per motivi legati al suo lavoro di ricerca”.
A questo punto, per sperare che si faccia luce sulla vicenda, non possiamo che affidarci all’inchiesta della procura capitolina; del resto, la cooperazione tra gli apparati di sicurezza egiziani ed il nostro team investigativo (Sco, Ros e Interpol), presente in loco sin dal 5 febbraio, è del tutto inesistente, se si considera che gli investigatori italiani non hanno possibilità di accesso ai documenti sonori e filmati, ai reperti medici, agli atti dell’inchiesta in possesso della Procura di Giza. Tra l’altro, nulla di quanto richiesto con una rogatoria ufficiale inviata da oltre dieci giorni per via consolare, è stato consegnato.
I pm romani, che, come sottolineato, in base agli elementi finora raccolti escludono tutte le ipotesi sul possibile movente fatte filtrare dall’Egitto, ora puntano ad avere il maggior numero possibile di dettagli sulla vita privata di Giulio Regeni. In questo contesto sono state inoltrate richieste ai responsabili dei più diffusi social network, al fine di ottenere informazioni e password di alcuni profili del giovane ricercatore. Attraverso l’accesso a tali profili, infatti, si potrebbero acquisire ulteriori notizie sulla sua attività e le relazioni che intratteneva in Egitto ed altrove. Gli inquirenti ritengono, inoltre, che di rilevante importanza sarebbe l’acquisizione dei dati relativi ai dispositivi gps collegati al telefono cellulare attraverso i social, telefono mai ritrovato dopo la scomparsa del Regeni.
Intanto, dovrebbe essere imminente il deposito della relazione completa sull’esame autoptico, effettuato dal professore Vittorio Fineschi dopo che la salma era stata riportata in Italia. Dalle prime indiscrezioni, pare che il povero Giulio abbia subito una tortura brutalmente metodica, che si è prolungata per sette lunghi giorni. La morte, infatti, sarebbe avvenuta non prima del 31 gennaio, in seguito a protratte sevizie.
Sul fronte politico-istituzionale, da registrare la dura presa di posizione da parte del ministro degli esteri Paolo Gentiloni, il quale, dopo l’ultima farneticante ricostruzione fornita dal ministro dell’interno egiziano, così ha dichiarato: “Voglio essere chiaro ancora una volta, non ci accontenteremo di verità di comodo, tantomeno di piste improbabili come quelle che ho sentito evocare dal Cairo. Su questa vicenda, l’Italia semplicemente chiede a un Paese alleato la verità e la punizione dei colpevoli…pretendiamo e pretenderemo la verità: credo che lo dobbiamo alla famiglia e alla dignità del nostro Paese”.
Pier Ferdinando Casini, Presidente della Commissione Esteri al Senato, dopo aver premesso “Le torture inflitte a Giulio Regeni possono essere motivate solo da un gigantesco fraintendimento di chi ha ritenuto che avesse collegamenti con aree che cospiravano contro la sicurezza nazionale; ma questa è una palese sciocchezza: Regeni non era una spia, era uno studioso attento che agiva in un versante di società civile naturalmente scottante”, ha sottolineato “Chiediamo la verità sul caso Regeni non solo per la sua famiglia, colpita in modo indelebile, ma anche in nome del decoro e della nostra dignità nazionale”.
Amnesty Italia ha lanciato una campagna con l’hashtag: #verità per giulioregeni. “L’Egitto deve dare una risposta chiara all’Italia sul suo assassinio al Cairo. Non ci accontenteremo di niente di meno della verità: in quel paese, che sta subendo una pesante ondata repressiva e dove si stanno moltiplicando i casi di arresti arbitrari, sparizioni e violenze di natura politica, purtroppo la tortura è una prassi ancora molto utilizzata. Le nostre istituzioni non possono accettare risposte posticce. Lotteremo”. Così promette l’appello fatto firmare alcuni giorni fa agli studenti di scuole e università, nelle piazze e nei luoghi di cultura “finchè non sapremo come è morto Giulio”.
Di fronte all’ultima paradossale e grottesca ricostruzione fornita dalle autorità del Cairo, forte è stata anche l’indignazione della famiglia di Giulio Regeni: “Non accettiamo alcun tentativo di infangare la memoria di Giulio. Faremo tutto quanto nelle nostre possibilità per giungere al pieno accertamento della verità e reagiremo ai tentativi di depistaggio da dovunque provengano”.
di Umberto Buzzoni