Loris ucciso con una fascetta elettrica. La mamma: «L’ho lasciato a 500 metri da scuola», ma poi si contraddice

di Il Messaggero

Il piccolo Loris Stival è stato ucciso per strangolamento con una fascetta elettrica lunga e larga: sarebbe infatti questa «l’arma» utilizzata per uccidere il bimbo. È quanto emerge da indagini eseguite sul corpo e da successivi accertamenti investigativi. Secondo quanto si è appreso, la Procura di Ragusa ha disposto apposite ricerche durante perquisizioni e rilievi eseguiti e in corso.

Intanto stamattina è stato compiuto dalla Polizia di Stato un nuovo sopralluogo nella zona di Contrada di Mulino Vecchio, dove il 29 novembre scorso è stato trovato il corpo del bimbo.

Vi ha partecipato anche Vincenzo Nicolì, direttore della II Divisione del Servizio centrale operativo della Polizia di Stato. Nella notte è stata perquisita anche l’abitazione di Orazio Fidone, il cacciatore che ha trovato il 29 novembre scorso il corpo di Loris Stival. L’uomo è indagato come atto dovuto, dalla Procura di Ragusa, per sequestro di persona e omicidio.

La perquisizione è stata eseguita subito dopo i rilievi fatti dalla polizia scientifica nella casa della mamma del bambino. Gli investigatori stanno lavorando giorno e notte per cercare di chiarire una morte dove ci sono ancora troppi misteri e bugie.

Nuovo sopralluogo percorso. Due auto della polizia con a bordo una telecamera sono partite dalla casa di Loris per ricostruire il percorso fino alla scuola, seguito dalla mamma il giorno della scomparsa del bambino. Non è escluso che sulla vettura ci fosse anche la donna. Le due auto sono già arrivate davanti alla scuola ‘Falcone-Borsellinò, dove il piccolo non è mai entrato.

La versione contraddittoria della mamma. Nelle dichiarazioni del 29 novembre scorso, messe a verbale alle 20.30 e dunque a quattro ore dal ritrovamento del cadavere del figlio, Veronica Panarello dice di aver lasciato il figlio «a circa 500 metri da scuola». Ma in quello successivo, del 30 novembre attorno alle 17, fa mettere a verbale: «Oltrepassavo l’ingresso della scuola, svoltavo a destra per Via Di Vittorio, e mi fermavo a poche decine di metri dall’ingresso della scuola».

La seconda incongruenza riguarda la sua partecipazione al corso di cucina nella Tenuta Donnafugata. Nel primo verbale la donna racconta infatti che «dopo aver accompagnato» il figlio piccolo alla ludoteca, «sono andata al Castello di Donnafugata, dove sono rimasta fino a mezzogiorno». Nel secondo verbale Veronica fornisce un’altra versione. «Lasciato il bambino» (il figlio più piccolo, ndr) «sono tornata a casa per sbrigare delle faccende domestiche. Alle 9.15 sono uscita di casa e sono andata al Castello di Donnafugata, dove sono rimasta fino alle 11.45».

La vicenda del sacchetto dei rifiuti che la donna avrebbe gettato, invece, viene considerata «strana» dagli investigatori perchè nel primo verbale la donna non ne fa alcuna menzione, mentre ne parla solo nel secondo. Tra l’altro il sacchetto viene gettato in un punto piuttosto vicino al luogo dove è stato trovato il corpo di Loris e in direzione opposta rispetto alla scuola.

E intanto per la prima volta dopo gli ultmi sviluppi parlano i genitori del bimbo: «Basta alle voci da cortile e alle bugie» che ci «hanno feriti e uccisi. Veronica Panarello e Dadide Stivali, in un colloquio con il quotidiano La Sicilia, chiedono «rispetto per una famiglia che soffre», sottolineando di avere «piena fiducia nella magistratura».

Lei conferma la sua verità su sabato scorso, che alcuni filmati sembrano incrinare: «Ma come ve lo devo dire? Io – sostiene – quella mattina Loris l’ho accompagnato vicino alla scuola. Era uscito di casa assieme a me e al fratellino, siamo arrivati in macchina e l’ ho lasciato. Poi, all’ uscita sono andato a prenderlo e non c’ era più. Le cose sono andate così, questa è la verità». «Noi non ci dobbiamo difendere da niente, non abbiamo nulla da nascondere», dice Davide Stival.

L’ unica cosa che vuole questo giovane padre, un autotrasportatore 29enne che sabato scorso era in viaggio fuori Sicilia, è cercare soltanto la verità, perchè noi vogliamo che venga trovato non un colpevole, ma il colpevole. Marito e moglie hanno fatto muro, contro le voci di cortile e le bugie che ci hanno feriti e uccisi.

Perché c’è un video che smentisce il racconto di Veronica Panarello, la mamma del piccolo Loris: la mattina di sabato 29 novembre il bambino non è mai arrivato a scuola, come ha sostenuto la donna, ma è rientrato a casa. Le immagini, registrate da una telecamere ad una cinquantina di metri dall’abitazione della famiglia, confermano dunque i dubbi di investigatori ed inquirenti che ora vogliono capire perchè Veronica ha raccontato loro una versione diversa da quella immortalata nei frame video. «Ho accompagnato Loris a scuola con la macchina e l’ho lasciato a poca distanza dal cancello» ha raccontato Veronica. Ma nelle immagini si vede invece che Loris, attorno alle 8.30, scende dalla Polo nera della mamma e va verso il portone di casa. Da quel momento in poi di Loris non ci sono più immagini, almeno tra quelle visionate finora dagli investigatori: ricompare, 8 ore dopo nel canalone a Mulino Vecchio. Morto. Tesi contestata dal legale della donna, l’avvocato Francesco Villardita: «la signora ha portato Loris a scuola, e ricordo a tutti – aggiunge – che non è indagata ed è parte lesa in un’inchiesta per omicidio».

«Esistono diversi video che sono allo studio. Ci sono 42 telecamere che hanno ripreso 24 ore e sono tutte interessanti e utili» si limita a dire il procuratore di Ragusa Carmelo Petralia sottolineando che in questa fase ogni notizia non ufficiale può «danneggiare in modo irreversibile» le indagini. Ma il procuratore aggiunge anche che «non ci saranno tempi lunghi per chiarire le prime cose». Il che significa che la svolta ancora non c’è ma che gli investigatori hanno imboccato una pista ritenuta molto interessante. Tra l’altro sul caso, afferma ancora il capo della procura, stanno lavorando «il meglio delle forze di polizia del Paese», lo Sco e gli stessi uomini del Ros e del Racis che hanno indagato su Yara: «davanti ad un fatto di inusitata gravità, la risposta dello Stato è stata molto forte».

Allo stato delle indagini sul registro degli indagati, con l’accusa di sequestro di persona e omicidio, rimane comunque il solo nome di Orazio Filone, il cacciatore che sabato pomeriggio ha trovato il corpo di Loris nel fosso a Mulino Vecchio. Un atto dovuto per consentire di fare gli accertamenti irripetibili sulla sua auto e sui suoi vestiti. La sua posizione resta dunque al vaglio degli inquirenti, che continuano a ritenere poco plausibile la spiegazione che l’uomo ha dato del perchè, appena saputo della scomparsa di Loris, si è diretto proprio in quel punto dove poi è stato trovato il corpo. Così come sono ancora da chiarire i rapporti dell’uomo con la famiglia del piccolo. Veronica Panarello, invece, al momento non è indagata e lo dice chiaramente il procuratore.

Ma è evidente che gli investigatori e gli inquirenti – che anche oggi hanno continuato a sentire diversi testimoni – vorranno quanto prima chiarire il perchè la donna ha mentito e fare una serie di atti ufficiali. Il primo è arrivato già nel pomeriggio quando una quindicina tra poliziotti e carabinieri si sono presentati su mandato della Procura in via Garibaldi e sono rimasti nell’abitazione di Loris fino a tarda sera. Gli uomini della scientifica e del Racis hanno operato anche con il Luminol, per rilevare la presenza di tracce non visibili ad occhio nudo, e hanno raccolto una serie di elementi che saranno poi analizzati dagli specialisti dello Sco della polizia e del Ros dei carabinieri. Tecnicamente, ha spiegato il procuratore, non si è trattato di una perquisizione ma di «atti specifici di polizia giudiziaria finalizzati all’acquisizione di elementi che potrebbero rivelarsi utili al proseguimento delle indagini».

Quali? Ad esempio un tablet o un telefonino che Loris usava, per capire con chi e se era in contatto con qualcuno, con chi scambiava messaggi. Oppure tracce della presenza di soggetti diversi dai familiari all’interno dell’abitazione o nel garage. Un aiuto importante, gli investigatori lo cercano anche nei tabulati telefonici: le telefonate effettuate dai familiari di Loris e da persone a loro vicine serviranno a ricostruire gli spostamenti di quella mattina e chiarire ulteriormente il racconto della donna. Non serviranno, invece, le due telecamere puntate proprio sull’ingresso della scuola: il temporale di un mese fa le ha danneggiate entrambe. «Se avessimo quelle immagini – sorride un investigatore – avremmo già chiuso il caso».

Mafia, appalti e tangenti: 37 arresti a Roma. Indagato Alemanno, in carcere anche ex Nar

di La Stampa

Maxi-operazione di carabinieri e Finanza. Il ministro Alfano: «L’inchiesta è solida». A capo della cosca Massimo Carmianti, il “Nero” di “Romanzo criminale”. Sequestrati beni per 200 milioni di euro. Nei guai politici locali e consiglieri regionali

Un collaudato e redditizio patto di ferro tra mafia e politica a Roma, non a caso definito dagli inquirenti «Mafia capitale». L’ex sindaco di Roma Gianni Alemanno è indagato per associazione mafiosa e, per lo stesso reato, in manette è finito, tra gli altri, l’ex terrorista nero Massimo Carminati, «il Nero» di Romanzo Criminale (personaggio di spicco nella banda della Magliana è accusato anche dell’omicidio Pecorelli) interpretato al cinema da Riccardo Scamarcio. Saltano subito all’occhio questi due nomi nella maxi operazione della Procura e dei carabinieri del Ros di Roma, con Massimo Carminati ritenuto al vertice dell’associazione mafiosa. La prima, in assoluto, di connotazione esclusivamente romana.

I NOMI ECCELLENTI  

Nel complesso gli arrestati sono 37, tra cui anche l’ex ad dell’Ente Eur, Riccardo Mancini, oltre a una serie di «eccellenti» indagati. Ma l’aspetto più inquietante è la scoperta di un sistema mafioso per l’aggiudicazione di appalti pubblici con il coinvolgimento di funzionari e politici del Comune di Roma e della Regione Lazio. I Ros hanno perquisito il Campidoglio, la Regione e diverse abitazioni private tra cui quella dell’ex sindaco Alemanno. Hanno ricevuto un avviso di garanzia anche il consigliere regionale Pd Eugenio Patanè, quello Pdl Luca Gramazio, e il presidente dell’Assemblea capitolina Mirko Coratti.

COME AGIVA LA “CUPOLA” DELLA CAPITALE

È stato, insomma, individuato un sodalizio mafioso da anni radicato nella capitale con diffuse infiltrazioni nel mondo imprenditoriale per ottenere appalti pubblici dal Comune di Roma e dalle aziende municipalizzate, anche per quanto riguarda i campi nomadi e i centri di accoglienza per gli immigrati. I reati ipotizzati sono associazione di stampo mafioso, estorsione, usura, corruzione, turbativa d’asta, false fatturazioni, trasferimento fraudolento di valori, riciclaggio e altri reati ancora. L’indagine è coordinata dal procuratore capo Giuseppe Pignatone, dall’aggiunto Michele Prestipino e dai sostituto Paolo Ielo e Giuseppe Cascini e Luca Tescaroli. Contestualmente all’operazione «Mafia capitale», la Guardia di Finanza sta procedendo al sequestro di beni per oltre 200 milioni di euro, in applicazione di un decreto firmato dal Tribunale di Roma.

IL CAPO ERA CARMINATI  

Intercettazioni telefoniche, pedinamenti e una proficua e altamente professionale attività investigativa ha consentito di smascherare uno scandalo tra mafia e politica di dimensioni inimmaginabili. Che risale, peraltro, a molti anni fa. Si legge infatti nell’ordinanza del gip Flavia Costantini: «E’ difficile stabilire esattamente il tipo di collegamento tra l’odierna organizzazione mafiosa riconducibile a Massimo Carminati e il substrato criminale romano degli anni ottanta, nel quale essa certamente affonda le sue radici. Esistono indiscutibili corrispondenze sul piano soggettivo e sul piano oggettivo». E ancora: «Sul piano soggettivo Mafia Capitale si è strutturata prevalentemente attorno alla figura di Massimo Carminati, il quale ha mantenuto e mantiene stretti legami con soggetti che hanno fatto parte della Banda della Magliana o che comunque le gravitavano intorno».

PIGNATONE: “OMERTA’ E ASSOGGETTAMENTO”  

Mafia e politica che hanno fruttato fior di quattrini. Tutto grazie – come si legge nell’ordinanza – «al riferimento alla forza di intimidazione del vincolo associativo deve intendersi che l’associazione abbia conseguito in concreto, nell’ambiente circostante nel quale essa opera, un’effettiva capacità di intimidazione, sino ad estendere intorno a sè un alone permanente di intimidazione diffusa, tale che si mantenga vivo anche a prescindere da singoli atti di intimidazione concreti posti in essere da questo o quell’associato». L’inchiesta Mafia Capitale del procuratore Giuseppe Pignatone viene ben riassunta dal gip nell’ordinanza: «Le indagini svolte hanno consentito di acquisire gravi indizi di colpevolezza in ordine all’esistenza di una organizzazione criminale di stampo mafioso operante nel territorio della città di Roma, la quale si avvale della forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di omertà che ne derivano per commettere delitti e per acquisire in modo diretto o indiretto la gestione e il controllo di attività economiche, di appalti e servizi pubblici».

L’EX SINDACO: “DIMOSTRERO’ LA MIA ESTRANEITA’”

In un comunicato Gianni Alemanno si difende e respinge le accuse: «Chi mi conosce sa bene che organizzazioni mafiose e criminali di ogni genere io le ho sempre combattute a viso aperto e senza indulgenza. Dimostrerò la mia totale estraneità». «Sono sicuro – conclude – che il lavoro della Magistratura, dopo queste fasi iniziali, si concluderà con un pieno proscioglimento nei miei confronti».

ALFANO: “INCHIESTA SOLIDA”

«Ho grande stima e considerazione per il procuratore capo di Roma che ha grande spessore competenza equilibrio, quindi sono convinto della solidità dell’inchiesta» commenta il ministro dell’Interno Angelino Alfano a «Di martedì» su La7 aggiungendo: «Su persone che conosco, come Alemanno, mi auguro riesca a dimostrare la sua estraneità così come ha detto». «Se l’inchiesta è fondata – ha aggiunto Alfano – ci sono cialtroni che non smettono di rubare; inutile fare le leggi se si continua a rubare, non si deve rubare!», ha tuonato il ministro.

Ecco l’elenco degli ordini di custodia cautelare emessi dal gip di Roma Flavia Costantini.

In carcere:  

Massimo CARMINATI

Riccardo BRUGIA

Roberto LACOPO

Matteo CALVIO

Fabio GAUDENZI

Raffaele BRACCI

Cristiano GUARNERA

Giuseppe IETTO

Agostino GAGLIANONE

Salvatore BUZZI

Fabrizio Franco TESTA

Carlo PUCCI

Riccardo MANCINI

Franco PANZIRONI

Sandro COLTELLACCI

Nadia CERRITO

Giovanni FISCON

Claudio CALDARELLI

Carlo Maria GUARANY

Emanuela BUGITTI

Alessandra GARRONE

Paolo DI NINNO

Pierina CHIARAVALLE

Giuseppe MOGLIANI

Giovanni LACOPO

Claudio TURELLA

Emilio GAMMUTO

Giovanni DE CARLO

Luca ODEVAINE

 

Ai domiciliari:  

Patrizia CARACUZZI

Emanuela SALVATORI

Sergio MENICHELLI

Franco CANCELLI

Marco PLACIDI

Raniero LUCCI

Rossana CALISTRI

Mario SCHINA

Rifiutata dal gip Costantini la richiesta della procura di misura cautelare nei confronti di Gennaro Mokbel e Salvatore Forlenza, che rimangono tuttavia indagati.

Mafia, arrestato Massimo Carminati: l’anima nera del crimine capitolino più spietato e ramificato

di Il Messaggero

Sembrava imprendibile e intoccabile. Le inchieste da almeno da più di 30 anni l’avevano indicato come l’”anima nera” del crimine capitolino più spietato e ramificato. E, oggi, grazie all’operazione dei Ros, è finito in manette con l’accusa di associazione mafiosa.

Lui è Massimo Carminati, 56 anni, sguardo di ghiaccio, comportamento freddo e distaccato, un passato fra i terroristi neri dei Nar ma soprattutto un esponente di spicco della famigerata banda della magliana, la holding criminale che ha imperversato a Roma con omicidi e traffici di ogni tipo fiancheggiata da servizi segreti e entità politiche. E gli arresti eccellenti di oggi dimostrano che il banditismo romano non è mai morto e che Carminati ne recitava un ruolo di primissimo piano come un ”puparo” che ne tirava silenziosamente i fili di morte e di affari da milioni di euro.

Un arresto che sembrava impossibile quello di Massimo Carminati che è sempre riuscito a uscire indenne da qualunque inchiesta. Indagini storiche sulle stragi italiane e su altri fatti clamorosi. Vengono alla mente le assoluzioni per il depistaggio per la strage della stazione di Bologna e per l’omicidio del giornalista Mino Pecorelli. Massimo Carminati mentre era alla sbarra a Perugia per rispondere dell’omicidio Pecorelli, si macchiò di un un furto senza precedenti, un altro mistero d’Italia, che avvenne proprio a ridosso della sentenza. Era il 2000 quando Carminati con altri personaggi della banda della Magliana riuscì a svaligiare il caveau della banca all’interno della Città Giudiziaria di Roma. Furono aperte oltre duecento cassette di sicurezza di magistrati e avvocati. Un colpo che per gli inquirenti aveva la finalità di ottenere documenti scottanti e ricattatori. In carcere finirono anche alcuni carabinieri complici della banda che agì indisturbato nel fortino della Legge.

Massimo Carminati l’intoccabile, il criminale complice di terroristi sanguinari come La Mambro e Fioravanti oggi è stato arrestato dopo anni che le informative degli inquirenti lo inquadravano come un boss romano fra i più temibili. La sua zona era quella di Corso Francia dove, sempre secondo gli investigatori, grazie alla sua impunità e al suo sangue freddo, era riuscito ad essere l’uomo cardine per gli affari criminali in città. «A Roma anche la ’ndrangheta e la camorra dovevano sentire il parere di Carminati per i loro affari», questo il parere di un inquirente.

Così come era stato capace di costruire e di gestire un fiorente traffico di videopoker: affari per milioni di euro. La Distrettuale Antimafia ne aveva monitorato anche i rapporti con Michele Senese boss della camorra che ha spadroneggiato a Roma e ora recluso in carcere con l’ergastolo. Su di lui erano caduti i sospetti su alcuni recenti omicidi accaduti a Roma. Era soprannominato il ”cecato”: da giovane mentre trasportava la valuta della Magliana in Svizzera era stato crivellato di colpi dalla polizia e così aveva perso un occhio. Massimo Carminati è il ”Nero”: il killer spietato che spadroneggia nella ”fiction” sulla banda della magliana. Un arresto fondamentale quello di Carminati per bloccare il crimine romano più segreto e pericoloso.

Andrea Loris Stival, oggi l’autopsia. Testimone: “L’ho visto in paese da solo”

di Il Fatto Quotidiano

Il corpo di Andrea Loris Stival, otto anni, è stato trovato nel pomeriggio del 29 novembre in un canneto a 4 chilometri dalla scuola dove la madre lo aveva lasciato. Gli investigatori: “Nessuna traccia di violenza, solo una piccola lesione sul volto, ma aspettiamo l’esito degli accertamenti”. Appello delle forze dell’ordine: “Chi ha visto qualcosa ce lo segnali“. Si cerca il suo zainetto

Mentre è in corso, nella mattinata di domenica all’obitorio dell’ospedale Ragusa Ibla, l’autopsia sul corpo di Andrea Loris Stival, il bambino di 8 anni trovato morto ieri nel Ragusano, fonti investigative fanno sapere che un testimone avrebbe visto il piccolo camminare in paese, già senza zaino, poco dopo le nove del mattino. Gli investigatori hanno anche visionato le riprese del sistema di sorveglianza di un panificio verificando che la mamma, dopo aver accompagnato a scuola il figlio maggiore, ha portato all’asilo quello di quattro anni. Carabinieri e polizia, però, continuano a specificare che “non può essere esclusa alcuna ipotesi”. Iniziati, intanto, nuovi sopralluoghi nell’area del ritrovamento per ricercare elementi utili alle indagini. Tra le piste prese in considerazione, anche il sequestro da parte di un pedofilo. Le forze dell’ordine raccomandano a tutti i cittadini di fornire eventuali dettagli utili alle indagini “mediante segnalazioni, anche anonime, ai numeri d’emergenza 112 e 113 o recandosi presso un qualunque ufficio di Polizia”.
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Il corpo di Andrea è stato trovato in un canalone in cemento, profondo due metri e mezzo, che costeggia un vecchio mulino abbandonato di Santa Croce di Camerina. Il bimbo non era entrato a scuola, nonostante la madre, una casalinga di 25 anni, con un altro figlio piccolo, lo avesse accompagnato e lasciato a 10-20 metri dall’ingresso. E’ stata la donna a lanciare l’allarme quando, quattro ore dopo, alle 12.30 è andato a riprenderlo. E’ in quel lasso di tempo che si concentrano le indagini. I bidelli, le maestre e i compagni di classe della terza elementare non lo avevano visto entrare. Dopo una decina di minuti la mamma è andata dai carabinieri per denunciarne la scomparsa. Il padre, 30 anni, lavora come autotrasportatore, e per non farlo preoccupare, è stato informato alcune ore dopo, nella speranza di non farlo allarmare e di trovare il ragazzino, come qualche altra volta era accaduto. Oggi, però, è stato sentito come testimone in Questura, mentre la moglie darà la sua versione tra qualche giorno, quando avrà superato lo shock per l’accaduto.

I carabinieri controllano anche le immagini del sistema di videosorveglianza della scuola, ma Andrea Loris Stival non è inquadrato da alcuna parte. Eppure alcuni vigili urbani ricordano bene di averlo visto assieme alla madre e salutarla vicino l’istituto. A trovare il corpo senza vita, poco prima delle 17, è un cacciatore uscito di casa sollecitato dalla moglie a partecipare alle ricerche scattate dopo l’allarme e che hanno coinvolto tutto il paese, in un canneto distante quattro chilometri dalla scuola. “Mi sono affacciato su un canalone tra le canne – ricostruisce Orazio Fidone – e ho visto il cadavere. Ho gridato prima a squarciagola e poi ho telefonato ai carabinieri: erano le 16:55. Nel frattempo è arrivata un’auto della polizia. Se avessi potuto dargli la mia vita lo avrei fatto”.

Al momento del ritrovamento, il bambino aveva indosso tutti i vestiti, asciutti: un paio di jeans, calze rosse, scarpe blu, una maglietta bianca e un giubbotto marrone. Non ci sono tracce di sangue o segni di violenza evidenti, tranne una piccola lesione sul volto con un ematoma. I detective di polizia e carabinieri stanno continuando a perlustrare la zona in cerca dello zainetto blu, a forma di ovetto, con cinghie gialle, che Andrea portava con sé quando è uscito di casa. “Nessuna ipotesi investigativa certa sarà possibile prima di domani” dopo “un attento esame del corpo”, spiega il procuratore di Ragusa, Carmelo Petralia, anche perché “non è stata trovata alcuna traccia di sangue”. “Stiamo lavorando a tutto campo – aggiunge – e non tralasciamo alcuna pista, ma per avere certezze occorrerà un esame medico legale attento”. Certo, osserva il magistrato, “non è impossibile, ma sembra difficile pensare che abbia percorso quattro chilometri a piedi e sia andato lì, in quel posto, da solo”. Parole che lasciano aperti scenari violenti, come un omicidio,ed evocano la pedofilia. “Al momento – precisa Petralia, che coordina l’inchiesta assieme al sostituto Marco Rota – non ci sbilanciamo però, perché qualunque ipotesi è prematura. Certo stiamo valutando tutte le tesi possibili – conclude il procuratore di Ragusa – come è giusto e doveroso che sia davanti alla morte di un bambino di otto anni”.

Il presidente della Regione Sicilia Rosario Crocetta ha fatto visita alla famiglia del piccolo Andrea. Il governatore è stato già nel municipio del paese e ha incontrato le forze dell’ordine. “Mi sento angosciato, come se fosse morto mio figlio, anche se non ho figli. Quando ho appreso ieri la notizia ho interiorizzato il dolore e ho sentito la necessità di partecipare di persona il mio dolore e la mia vicinanza”. Ha detto il governatore della Sicilia dopo un sopralluogo nella zona in cui è stato trovato il corpo del piccolo.

Vaccini, altri farmaci a rischio. E il ministro accusa le Regioni

di Il Giornale

Continuano a salire le segnalazioni di morti sospette dopo la somministrazione del vaccino antinfluenzale Fluad. A queste se ne aggiunge una registrata a Cuneo in concordanza temporale con un altro tipo vaccino l’Agrippal, sempre prodotto dalla Novartis. L’allarme sulla sicurezza del farmaco cresce insieme alla preoccupazione dei pazienti e il ministro della salute, Beatrice Lorenzin individua un primo colpevole: l’inadeguatezza del sistema di vigilanza sui vaccini delle Regioni. La Lorenzin invita i pazienti ad evitare psicosi ed allarmismi e conferma che i primi testi sono negativi non risulta una correlazione tra decessi e vaccini.

Allo stesso tempo lancia una pesantissima accusa che infuocherà ulteriormente il clima. «Le regioni sono responsabili della vigilanza dell’applicazione dei vaccini e devono informare tempestivamente sugli effetti delle vaccinazioni – attacca il ministro -. C’è stata in questo caso una carenza da parte delle Regioni molto forte. Dal primo caso avvenuto il 7 novembre c’è stato un ritardo di 15 giorni. É quindi in corso una riflessione sulla necessità di rafforzare la normativa sulla farmaco vigilanza e portare la comunicazione obbligatoria da parte delle regioni entro 24 o 48 ore». Insomma il sistema di allarme è partito in ritardo. Se ne deduce che se dovesse emergere un effettivo nesso di causalità tra la somministrazione del vaccino e i decessi la Lorenzin riterrebbe responsabili delle morti successive alla prima le carenze dei sistemi sanitari regionali.

Non a caso la reazione delle Regioni è immediata. «Basta. Noto con stupore che il ministro Lorenzin si lascia andare ad uno sport troppo praticato: lo scaricabarile.-sbotta Sergio Chiamparino presidente della Conferenza delle Regioni – Si verifichi se qualcosa non ha funzionatao a cominciare dall’Aifa». Respinge le accuse anche l’assessore alla sanità della Toscana, Luigi Marroni: «La segnalazione da parte nostra è stata in tempo reale».

Le morti sospette hanno messo in moto anche l’Ema, l’agenzia europea per i medicinali che condivide la posizione rassicurante delle istituzioni italiane. Non ci sono evidenze che confermino «la causalità tra il vaccino e gli eventi avversi riportati», scrive in una nota ufficiale l’Ema. Domani si terrà un vertice con i massimi esperti europei sulla questione cui prenderà parte anche l’Agenzia italiana del Farmaco, Aifa.

E i ntanto si fa sempre più concreta l’ipotesi che, in attesa dei risultati delle indagini sui vaccini, l’Aifa, decida di bloccare tutti i lotti di Fluad visto che i decessi segnalati riguardavano dosi provenienti da lotti diversi.

«Aspettiamo di completare l’analisi dettagliata sulle morti sospette al vaglio e di conoscere anche l’esito dell’analisi a livello europeo – spiega il direttore generale Aifa, Luca Pani-. Stiamo valutando l’ipotesi di un divieto di utilizzo per tutto il vaccino antinfluenzale Fluad. Prenderemo domani le nostre decisioni». Ma quella scientifica non è l’unica indagine in corso sulle morti sospette. Sono molte le Procure che hanno aperto un fascicolo sulla vicenda dei vaccini antinfluenzali. Prato, Siracusa e Chieti investigano sui decessi avvenuti nelle loro aree di competenza mentre la Procura di Siena ha aperto un’inchiesa sulla produzione dei vaccini negli impianti della Novartis che infatti sono già stati visitati dai Nas. La Procura di Prato ha disposto la riesumazione della salma dell’anziano deceduto il giorno dopo essere stato vaccinato, l’uomo aveva 89 anni.

Nonostante l’allarme gli esperti insistono: è molto più rischioso non vaccinarsi. La Società italiana di Medicina Generale ricorda i dati Istat. Ogni giorno in Italia muoiono circa 1.600 persone sopra i 65 anni. Tra questi il 50 per cento si sottopone a vaccinazione. Quindi ogni giorno muoiono 800 persone che si sono vaccinate. Nessun nesso dunque tra decessi e vaccino, insistono gli esperti.

Le case tolte ai mafiosi? Abbandonate dallo Stato La polizia: “Datele a noi”

di Il Giornale

Migliaia di case confiscate alle mafie, ma nessuna assegnata ai poliziotti. Anche se la legge lo prevede. E a Palermo, dinanzi alla sede dell’Agenzia ai Beni confiscati e sequestrati alla mafia, il sindacato di polizia Consap e la cooperativa di poliziotti «Cops» ha inscenato ieri un sit-in di protesta.

Sono almeno dodicimila tra appartamenti, ville e aziende varie sparse per lo Stivale i beni confiscati ai clan ma solo in parte assegnati, secondo una stima del sindacato di polizia Consap. Un patrimonio immobiliare ingente. Case che comportano per lo Stato spese di manutenzione e di gestione (ad esempio le quote condominiali) e che invece, se vendute o affittate, potrebbero rappresentare un introito non indifferente. Nella sola Palermo, ad esempio, ci sono – secondo il sindacato di polizia – 3mila appartamenti disponibili non utilizzati. Il loro valore medio va dai 100-150mila euro al mezzo milione di euro.

Da tempo i poliziotti chiedono l’applicazione della legge numero 159 del 2011, il cosiddetto «Codice antimafia» che, all’articolo 48, prevede che il personale delle forze Armate e delle forze di polizia possa costituire cooperative edilizie alle quali è riconosciuto il diritto di opzione prioritaria sull’acquisto dei beni destinati alla vendita. I poliziotti palermitani si sono, quindi, costituiti in cooperativa, la «Cops Srl», per acquistare i beni confiscati e potere beneficiare di un diritto previsto dalla legge che attesta il costo dell’immobile al 50 per cento del valore catastale per questo genere di cooperative. Ma non hanno ancora potuto comprare casa. Col risultato che molti alloggi restano chiusi, e alcuni vengono occupati abusivamente. Tra gli occupanti illegali c’è persino un poliziotto. Doveva sostenere spese ingenti per il figlio malato e fare da spola da Palermo a Milano. Così, per avere un tetto sulla testa, ha deciso di occupare un appartamento.

«Eppure – rileva Igor Gelarda, dirigente nazionale della Consap – il direttore dell’Agenzia nazionale per l’Amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati, Umberto Postiglione, ha parlato di immobili fermi perché nessuno li vuole, mentre la gente va a occupare le case perché ne ha bisogno». Affermazioni che hanno innescato la scintilla della protesta culminata con un corteo.

Ecco come funziona o dovrebbe funzionare: l’Agenzia consegna i beni confiscati a enti e istituzioni per finalità pubbliche o sociali. Il bene non utilizzato dovrebbe tornare all’Agenzia e potrebbe essere venduto. Per la Consap è utilizzato solo il 50% di questi immobili. «La Questura di Palermo su 50 alloggi assegnati – denuncia Domenico Milazza, segretario provinciale Consap Palermo – ne utilizza solo 20». Ma, a fronte delle abitazioni chiuse, un poliziotto in graduatoria da 14 anni si è visto assegnare l’alloggio solo dopo che il collega che ci abitava è dovuto uscire di casa.

«Migliaia di alloggi che costano tanto allo Stato e non sono assegnati rappresentano una sconfitta nella storia della lotta alla mafia – dice Gelarda -. Chi più dei poliziotti, che hanno pagato con tributi di sangue la lotta alla mafia, avrebbero diritto a questi appartamenti? Molte famiglie di poliziotti, a causa della crisi, sono in difficoltà economiche. Qualcuna è costretta a rivolgersi alla Caritas. Una soluzione al problema degli alloggi darebbe una grossa mano alle famiglie in difficoltà».

Ieri i poliziotti sono stati ricevuti da un funzionario dell’Agenzia. «Ci ha garantito un incontro con i vertici – dice Milazza -. Era ora».

 

Cagliari, affonda la nave della droga. Arrestati i narcotrafficanti

di La Stampa

Maxi operazione della Guardia di Finanza. Il blitz nel cuore della notte a poche miglia dalla costa sarda. Sull’imbarcazione 16 tonnellate di stupefacenti destinati alla Spagna

Le manette li hanno salvati da morte sicura: i narcotrafficanti che trasportavano un super carico di hashish si sarebbero trovati in acqua nel giro di poco tempo. E se non fossero arrivate le motovedette e gli elicotteri della Guardia di finanza sarebbero affondati insieme alle sedici tonnellate di droga che dovevano far arrivare quasi sicuramente in Spagna.

I finanzieri del Reparto aeronavale di Pratica di Mare e i colleghi di Cagliari seguivano con i radar lo spostamento del peschereccio giallo (25 metri di stazza) che attraversava il Mar Mediterraneo con la prua rivolta verso la Sardegna. E nel cuore della notte, quando l’imbarcazione è arrivata a cento miglia dall’isola, c’è stato il blitz: elicotteri e motovedette, comprese alcune unità della Guardia civil spagnola, hanno circondato la nave della droga e bloccato l’equipaggio. A bordo c’erano nove persone, tutte di nazionalità egiziane, che ovviamente sono state ammanettate e accompagnate a Cagliari. Subito dopo i militari hanno iniziato a ispezionare il carico: 370 colli, per un totale di circa 16 tonnellate di hashish.

Recuperarli tutti è stato impossibile, perché nella sala macchine c’era una grossa falla e nel giro di poco tempo il peschereccio si è riempito d’acqua ed è affondato. Se non ci fosse stato l’intervento dei finanzieri, dunque, i nove che erano a bordo non avrebbero avuto scampo. Nella zona in cui l’imbarcazione è andata a picco il fondale è profondo circa 2600 metri e riportare a galla la scorta di droga sarà impossibile. Lottando contro il tempo, comunque, i militari sono riusciti a sequestrare 1600 chili di hashish, che saranno analizzati anche per capire meglio da dove sia partita la grande scorta.

Quello fatto scattare nella notte al largo delle coste sarde non è stato un blitz a sorpresa: le Fiamme gialle italiane e la Guardia civil spagnola sapevano da qualche tempo dell’arrivo imminente di un ingente carico di droga e avevano pianificato l’operazione “Triton”. «Per individuare il peschereccio e sequestrare il carico di stupefacenti – spiega la Guardia di finanza – è sono state schierate le unità navali d’altura che abitualmente sono impegnate nella vigilanza aeronavale del Canale di Sardegna e dello Stretto di Sicilia, supportate per l’occasione da alcuni aerei dotati di sofisticate apparecchiature di rilevamento. Tutta l’operazione si è svolta sotto l’egida dell’Agenzia Europea Frontex e della Direzione Centrale per l’Immigrazione e la Polizia delle Frontiere del Ministero dell’Interno».

Lodi, terrore sulla A1: camion a fuoco, ma l’assalto al portavalori non va a segno

di Repubblica.it

Un commando composto da una ventina di uomini armati, probabilmente italiani, ha cercato di assaltare alle 6.40 un furgone portavalori provocando il caos sulla A1 a pochi chilometri da Lodi. Nessuno è rimasto ferito. Ed è un miracolo, visto che c’è stata una sparatoria: questo almeno è ciò che sostengono alcuni automobilisti. Non solo colpi di pistola, ma anche mezzi incendiati e messi di traverso per sbarrare il passo al portavalori e chiodi gettati sul selciato per distruggergli le ruote. Nel mirino uno dei blindati del gruppo Battistolli, che però è riuscito a evitare blocchi, chiodi e spari. Fino alle prime ore del pomeriggio la situazione è rimasta critica: code chilometriche hanno bloccato per ore camionisti e automobilisti.

Sull’Autostrada del Sole sono le 6.40 del mattino. Il traffico è molto sostenuto ed è fatto soprattutto di mezzi pesanti. La banda entra in azione: semina chiodi sulla carreggiata – siamo al chilometro 34 in direzione sud – dà fuoco a due autocarri e a un’auto e li mette di traverso per bloccare blindato, scorta e tutto il resto del traffico. Stessa scena sull’altra carreggiata – al chilometro 24 in direzione nord – dove vengono incendiati due camion.

La rapina fallisce, però, perché solo il mezzo della scorta rimane bloccato dai chiodi: quello che custodisce i valori riesce a fuggire e ad arrivare in una delle basi del gruppo Battistolli intorno alle 9. Un blindato della stessa azienda aveva subito un altro assalto nel 2013 lungo l’autostrada A9: il colpo aveva fruttato 10 milioni di euro. I rapinatori sono scappati su alcune auto (ci sono testimoni che parlano di tre uomini su un’automobile nera) sfruttando un varco nella recinzione: gli investigatori della polizia stanno analizzando le immagini della società Autostrade. A Graffignana, sempre nel Lodigiano, hanno abbandonato le auto. E poco più avanti hanno fermato e rapinato dell’auto una donna facendo perdere le proprie tracce.

Automobilisti e camionisti che si sono trovati a passare per tutta la mattinata sull’autostrada A1 hanno subito disagi enormi. I due tratti autostradali sono rimasti bloccati per ore per consentire alla Scientifica di compiere tutti i rilievi, ma anche perchè l’asfalto andava ripulito dai chiodi. Il tratto compreso fra Lodi e Casalpusterlengo in direzione di Bologna è stato riaperto intorno alle 10.40. Quello tra Fiorenzuola e l’allacciamento con l’A21 è ancora bloccato, invece, perché la Scientifica non ha ancora terminato il lavoro. Qui si registrano cinque chilometri di coda.

Bologna, uccide la moglie dopo una lite: muore pensionata di 79 anni

di Repubblica.it

Erano sposati da 60 anni. Lui l’ha uccisa sparandole almeno un colpo di pistola, all’apice di una discussione in cucina. Questa la ricostruzione degli investigatori per il delitto avvenuto stasera – poco dopo le 18.30 – alla periferia di Bologna, in via San Donato.

Il sospettato dell’omicidio è Luciano Zironi, 79 anni, la stessa età della moglie, Bruna Belletti. I due hanno una figlia. Non sembrano esserci dubbi sulla dinamica del delitto.

Il pensionato è stato fermato dalla polizia e portato in questura per essere interrogato dal pm. Nel corso dell’interrogatorio l’uomo ha ammesso le responsabilità in un racconto interrotto spesso dal pianto.

Secondo il medico legale, l’anziana è stata uccisa con un colpo sparato a distanza ravvicinata. Dopo una malattia, hanno detto i vicini, il pensionato era depresso.

L’uomo deteneva regolarmente alcune armi ed è stato lui stesso a dare l’allarme chiamando i soccorsi. La figlia della coppia viveva in famiglia ma non era in casa al momento dell’omicidio.

Neonata uccisa, la mamma crolla e confessa: “Non volevo quella gravidanza”

di Repubblica.it

Le sue prime parole: “Non respirava, ecco perché l’ho buttata via”. Interrogatorio di tre ore del pm Nino Di Matteo, che segue l’inchiesta. La donna aveva nascosto a tutti la gravidanza, al Cervello è arrivata con il cognato. Ordinata l’autopsia sulla piccola

E’ terminato nel reparto di ginecologia dell’ospedale Cervello l’interrogatorio di Valentina Pilato, la mamma di 30 anni che ieri ha gettato nei rifiuti la figlia appena partorita. La donna, indagata per infanticidio e piantonata dai carabinieri, si è presentata ieri pomeriggio nell’ospedale per un’emorragia. Nella notte è stata sedata, e ora si trova in una stanza in isolamento. A interrogarla è il sostituto procuratore Nino Di Matteo che è entrato da una porta secondaria dell’ospedale. “Non mi sono resa conto che ero incinta fino al nono mese, sono molto depressa. Non avrei voluto portare a termine quella gravidanza”. Queste le prime parole che la donna ha riferito al magistrato Nino Di Matteo che l’ha sentita in ospedale per tre ore. Tra le lacrime ha detto di essere disperata. “Non lo so perché l’ho fatto, ma dove sono i miei bambini?” ha chiesto a un certo punto. Durante l’interrogatorio, molto confuso, la signora ha anche ripercorso il parto e poi il momento in cui ha deciso di gettare nei rifiuti la figlia. “Ho fatto tutto da sola e l’ho messa nel cassonetto perché credevo che non respirasse più”. “Mi sono pentita subito e volevo tornare indietro, ma ormai era troppo tardi”. La donna è difesa dall’avvocato Enrico Tignini. Il magistrato ha chiesto di mantenere ricoverata ancora Valentina Pilato, almeno fino a domani mattina. Da Udine è arrivato a Palermo il marito che è un militare dell’esercito. L’uomo, che ancora non sa nulla, è partito ieri dal Friuli in auto. Il militare ha partecipato anche a missioni all’estero. La famiglia si era trasferita dal Veneto al Friuli sette mesi fa.

Valentina ha fatto tutto da sola. Voleva nascondere al marito una gravidanza indesiderata? Oppure fare sparire una “figlia della colpa”? Domande alle quali non risponde questa mamma che si è trasformata in assassina in una mattina di fine novembre e che adesso è accusata di omicidio volontario. Dice soltanto: “Non la sentivo respirare, l’ho avvicinata al petto e mi sembrava morta”. Ma nessuno le crede. Tanti i perché ai quali gli investigatori stanno cercando di dare risposte. Uno su tutti: perché non ha chiamato i soccorsi e ha chiuso la sua neonata in un borsone? Non ha nemmeno avvolto la piccola in una coperta e l’ha abbandonata dentro quel cassonetto vicino a casa sua. Accanto alla piccola i medici del 118 hanno trovato solo un paio di scarpe da donna nel borsone color rosso e un lenzuolino bianco. Tutto gettato tra i rifiuti come roba vecchia.

Ma chi è questa mamma che ha confessato quel gesto orribile: aver gettato la figlia nell’immondizia? Di lei si sa poco. Valentina Pilato ha 30 anni e fino a ieri era un’irreprensibile madre di tre figli, una casalinga come tante. Gli investigatori hanno chiesto ai medici di sistemarla in una stanza da sola per timore che qualche altra mamma, nel reparto di Ginecologia, potesse aggredirla. Valentina è una donna che alcuni anni fa ha deciso di seguire il marito al Nord. La coppia si è trasferita a Gemona, in Friuli. Il marito è un militare che presta servizio a Udine. Qualche settimana fa era tornata in città, per una vacanza. Forse proprio perché la gravidanza volgeva già al termine. Il marito era rimasto in Friuli e l’avrebbe raggiunta nei prossimi giorni.

Ieri mattina, alle 5,30, la donna ha partorito la piccola. Era sola a casa, racconta. Poco dopo ha messo in atto quel piano assurdo. Ha dato alla luce su un tappeto la sua bambina. È stata lei a tagliare il cordone ombelicale. In un sacchetto ha infilato anche la placenta e in quel borsone da palestra la piccola che i testimoni diranno di aver sentito piangere. “Ho avvertito un gemito”, ha riferito un rottamaio, e l’ha ripetuto davanti ai carabinieri.

La donna è arrivata in via Ferdinando Di Giorgi, una strada non lontana da via Uditore, e in quel cassonetto ha buttato la sua bambina, chiudendo il coperchio e sperando di cancellare le prove del suo gesto. Invece le telecamere di una pizzeria avevano ripreso tutta la scena. Tornata a casa, poco distante da via Di Giorgi, quella mamma che ha già tre figli di 8, 6 e 2 anni, ha fatto finta di niente. Almeno fino alle 18, quando un’emorragia l’ha costretta a guardare in faccia la realtà. Ha chiamato al cellulare il cognato, un vigile del fuoco di Palermo, e gli ha chiesto di accompagnarla all’ospedale Cervello. Lì, ai medici, ha confessato tutto, e pochi minuti dopo in ospedale sono arrivati anche i carabinieri. “Ero in preda al panico, non sapevo che fare, il suo cuore non batteva”, ha detto sotto shock.

Poi si è chiusa in un silenzio impenetrabile, nonostante le domande pressanti degli investigatori. Davanti alla porta i carabinieri, domani l’interrogatorio da parte del magistrato. Accanto a lei solo la sorella: è una donna robusta che con le lacrime agli occhi parla al telefono con i familiari. Si allontana da chi vuol chiederle il perché di tutto questo. Dietro la porta a vetri dell’ospedale, tante future mamme con il pancione ascoltavano quella storia. “Tutto assurdo – dice una donna al nono mese di gravidanza – e mi chiedo perché non l’ha lasciata dietro la porta di casa di qualcuno. Tra poco partorirò la mia bambina e spero di non vedere questa donna orribile”. Lei, intanto, resta sul letto e ripete, chiudendo gli occhi: “Il cuore non batteva, il cuore non batteva”. Sperando, forse, che quella verità che non riesce a confessare nemmeno a se stessa possa cancellarsi per sempre.